Ho avuta una discussione molto interessante, direi illuminante, con un’amica americana che mi consigliava di essere “più cool sul cambio climatico perché non succederà prima di molto tempo e troveremo le soluzioni giuste al momento giusto”. Ovviamente dissento sul “lungo tempo”: stiamo vedendo i danni della pioggia e degli alluvioni in Italia praticamente in diretta. Potremmo avere un estate non estiva ma torrida lo stesso e sembra che tali condizioni siano conseguenza dei fenomeni estremi del Niño e della Niña. Ma concordo sulla nostra straordinaria capacità di trovare le soluzioni (possibilmente senza aspettare che accadono disastri).
Questo scambio mi ha fatto pensare che è soprattutto in Europa che sembra essere vivo il concetto della decrescita e della transizione energetica. Forse perché non abbiamo le nostre riserve energetiche e dipendiamo dagli altri per petrolio, gas e materie prime. E l’Europa si è molto deindustrializzata.
La sfida è reindustrializzare in modo più ecologico per non dipendere ma ci sarà un costo che esperti non hanno del tutto definito e quantificato. Manca uno studio scientifico completo, cifrato, imparziale e senza pressioni da lobby, elaborato da un organismo sopra le parti, sul costo sia della deindustrializzazione che della decrescita e delle prospettive nuove di crescita con una stima delle conseguenze climatiche e sociali su di noi la gente e le aziende.
Finora quello che è stato prodotto crea un sano allarmismo ma non cifra il costo nella vita reale.
Senza negare il problema del cambio climatico, non si può dimenticare che la crescita ha aiutato l’umanità e ci ha fatto fare un balzo inimmaginabile: ha migliorato la salute, l’aspettativa di vita, l’igiene, ha reso il mondo più vivibile, più bello e tantissimi altri progressi sono stati fatti.
Quale sarà l’effetto della decrescita e la transizione sulle aziende, quelle che forniscono il lavoro, essenziale per tutti? Le più grosse potranno resistere ma forse assisteremo ad un restringimento della domanda e dell’offerta (si compra da – e si vende ad – una platea molto più ridotta) e dei mercati interni per denatalità (un altro problema serio) ?
Nell’incertezza del quadro, sono fiduciosa sulla circostanza in cui la transizione energetica, anche se passa da una recessione temporanea di adattamento , aprirà sicuramente nuove piste di crescita. Cresceranno le aziende che puntano sulla “sopravvivenza durante eventi estremi” per esempio: rifugi, zuppe solide senza data di scadenza, macchine tutto terreno ultra-equipaggiate, un campo infinito di possibili settori o riconversioni).
Purtroppo sembra che ci sia troppa ideologia da ambo le parti: ecologisti e liberali invece di un sano e sereno dibattito su tutti gli scenari e programmazioni possibili per il bene di tutti, noi e le aziende. Dicono che in cinese “crisi” significa sia pericolo e sia “punto cruciale’ (nel senso di qualcosa che inizia o che cambia).
Ci siamo.